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FURONO DUE SQUADRISTI DI CASUMARO AD UCCIDERE DON MINZONI

By on Agosto 23, 2023 0 142 Views

Siamo ad Argenta intorno alle 22:30 del 23 Agosto del 1923… Don Giovanni Minzoni, arciprete di quella città, stava rientrando in canonica in compagnia di un giovane parrocchiano, dal buio spuntarono due uomini, due picchiatori fascisti arrivati da Ferrara per dargli una lezione, lo presero a bastonate, gli sfondarono il cranio, vani furono i tentativi di salvargli la vita,  si spense nella notte: aveva solo 38 anni.

Poco prima della morte Don Minzoni aveva scritto: “a cuore aperto, con la preghiera che mai si spegnerà sul mio labbro per i miei persecutori, attendo la bufera, la persecuzione, forse la morte per il trionfo della causa di Cristo”.

Con il prezioso aiuto storico di Andrea Gilli ricordiamo chi era Don Minzoni….
Giovanni Minzoni era nato nel 1885 a Ravenna, fu ordinato sacerdote nel 1909 e fu inviato ad Argenta come cappellano. Iniziò subito a darsi da fare: aprì un ricreatorio con cinematografo, creò una filodrammatica e nel 1916, con il voto unanime dei capifamiglia, che allora, per un singolare privilegio argentano, potevano designare l’arciprete, fu nominato parroco.

Ma l’Italia era in guerra e anche don Giovanni venne chiamato alle armi; per sua scelta fu cappellano militare in prima linea. Partecipò a diverse battaglie, rimase accanto a molti fanti feriti al fronte e nel giugno 1918, sul Piave, promosse un’azione che fermò l’avanzata degli austriaci. Tornò ad Argenta con la medaglia d’argento al valor militare e altre dieci decorazioni, Nell’aprile del 1923 costituì ad Argenta i primi gruppi scout: vedeva l’importanza della formazione dei giovani. “Si iscrissero subito settanta ragazzi ma gli esponenti fascisti proibirono ad alcune famiglie di inviare i propri figli”

Fu il Gerarca Italo Balbo che ordinò l’esecuzione extragiudiziaria del “parroco eversivo”.

Don Minzoni fu aggredito e ucciso da due squadristi di Casumaro (frazione di Cento): Giorgio Molinari e Vittore Casoni.

Per decisione della dirigenza fascista ferrarese, le ricerche sui responsabili dell’omicidio furono archiviate nel novembre 1923. L’anno successivo – sull’onda dello scandalo politico provocato dal delitto Matteotti i quotidiani “Il Popolo” e “La Voce Repubblicana” ritornarono sull’episodio denunciando Italo Balbo quale presunto mandante: quest’ultimo giornale in particolare pubblicò documenti riguardanti ordini da lui impartiti di bastonature di antifascisti e sue pressioni sulla magistratura. Nel 1924 Balbo, divenuto nel frattempo Console della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN), a seguito di tali rivelazioni, fu costretto a dimettersi dalla carica, perdendo anche una causa per diffamazione da lui intentata al quotidiano e fu condannato a pagare le spese processuali.

Nel dicembre 1924 fu riaperta l’inchiesta sul delitto. Il 14 luglio 1925 fu aperto un nuovo processo presso la corte di assise di Ferrara, che giunse a conclusione due settimane dopo, il 1º agosto 1925, in un clima di esplicita intimidazione di giornalisti e testimoni, nonostante le tre condanne chieste dalla pubblica accusa, tutti gli imputati vennero assolti all’unanimità dai dodici giudici popolari. Nel 1946 la Corte di cassazione annullò il secondo processo e l’anno successivo ne fu istruito un terzo, nuovamente presso la Corte di Assise di Ferrara. Quest’ultimo processo si concluse con la condanna per omicidio preterintenzionale degli imputati superstiti, che comunque furono scarcerati per sopravvenuta amnistia.

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